INDENNITÀ DI CASSA, LA SPETTANZA PRESCINDE DALLA PIENA E COMPLETA RESPONSABILITÀ DELLA GESTIONE

Ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di cassa, pur considerando assolutamente rilevanti le previsioni normative della contrattazione collettiva, ciò che rileva è I’autonomia nell’espletamento delle mansioni di cassiere e la continuatività e non occasionalità di queste ultime. La responsabilità per errore, anche finanziaria, è infatti implicita nelle attività di cui l’incasso costituisce la prestazione normale o prevalente, derivando la stessa dall’obbligo di diligenza richiesto al dipendente dalla natura della prestazione dovuta (Corte di Cassazione, ordinanza 05 settembre 2019, n. 22294).

Una Corte d’appello territoriale, confermando la decisione di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore, con conseguenze risarcitorie nell’ambito della tutela obbligatoria, e condannato la società alla corresponsione di un certo importo, a titolo di indennità di cassa.

 

Quanto alla debenza della predetta indennità, la Corte aveva osservato che il lavoratore addetto alla reception aveva accesso alla cassaforte ove riponeva gli incassi, gestiva un piccolo fondo cassa per le spese di ordinaria amministrazione ed era addetto alla effettuazione della “quadratura giornaliera, settimanale e mensile” degli importi presenti in cassa.

 

Di qui, il diritto andava riconosciuto in quanto il CCNL applicato prevedeva che, ove al dipendente addetto con continuità ad operazioni di cassa facesse capo la piena e completa responsabilità della gestione di cassa, con obbligo di accertarsi delle eventuali differenze, competesse un’indennità di cassa e di maneggio denaro nella misura del 5% della paga base.

 

Avverso tale decisione la società ricorre in Cassazione, lamentando che il lavoratore non aveva responsabilità della cassa, essendo presente il responsabile al quale lo stesso doveva rendicontare, e nemmeno alcun obbligo di ripianare economicamente gli eventuali ammanchi o errori di cassa. Di qui, l’opzione interpretativa della Corte di merito condurrebbe al risultato, non accettabile, di riconoscere ad ogni dipendente che nell’esercizio delle sue mansioni maneggi danaro e debba rendicontare ai superiori sul proprio operato il diritto a percepire l’indennità de qua.

 

Per la Suprema Corte il ricorso non è fondato. Da un lato, essa riconosce che la norma del CCNL contempla tra i requisiti necessari per l’erogazione dell’indennità la normale adibizione ad operazioni di cassa con carattere di continuità e la piena e completa responsabilità della gestione della cassa, con l’obbligo di accollarsi le eventuali differenze, caratterizzando tale ultimo obbligo la funzione della specifica indennità, evidentemente prevista in relazione al rischio che la perdita riscontrata gravi finanziariamente sull’addetto alla cassa.

 

Tuttavia, pure essendo l’indennità di cassa e di maneggio di denaro un istituto di derivazione esclusivamente contrattuale, per il quale le condizioni per l’insorgenza del relativo diritto in capo al lavoratore vanno individuate esclusivamente sulla base dell’interpretazione della specifica disciplina del contratto collettivo applicabile al rapporto, senza riferimento a pretese nozioni di carattere generale, ciò che rileva è che l’attività svolta a contatto col denaro abbia carattere se non di esclusività quanto meno di continuatività e non occasionalità, e che comporti l’esposizione del lavoratore ad una possibile responsabilità, anche di carattere finanziario (Corte di Cassazione, sentenza n. 7353/2004).

 

Per altro verso, ai fini del diritto all’indennità di maneggio denaro, la responsabilità per errore, anche finanziaria, è implicita nelle attività di cui l’incasso costituisce la prestazione normale o prevalente, derivando la stessa dall’obbligo di diligenza (art. 2104 c.c.) richiesto al dipendente dalla natura della prestazione dovuta (Corte di Cassazione, sentenza n. 2212/2016).

 

In sostanza, le mansioni specifiche del cassiere rispetto alle quali il maneggio del denaro, quale aspetto prevalente dell’attività svolta, di cui l’incasso costituisce il profilo principale, induce a ritenere immanente alla attività stessa una responsabilità che deriva direttamente dalle norme codicistiche che obbligano il dipendente alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (art. 2104 c.c.).

 

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